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Stop al redditometro quando il contribuente prova l’inesistenza del reddito

La Corte di Cassazione si esprime in materia di redditometro, dando possibilità di difesa atta a dimostrare che il reddito contestato è inesistente (o esistente in misura minore). Il redditometro, come è noto, fonda le sue radici sulle manifestazioni di spesa del contribuente; è altresì vero che spesso gli incrementi patrimoniali sono “giustificati” ampiamente, ad esempio perché ricevuti facendo ricorso a risorse finanziarie di terzi soggetti. A tutti gli effetti non dimostrano la consistenza di un reddito. Il principio applicato dalla Corte prende spunto dall’articolo 53 della Costituzione, finalizzato alla “giusta tassazione del reddito reale del contribuente”: in altre parole nel caso (ad esempio) di un intestazione di un immobile, non è corretto condurre necessariamente alla presunzione di possesso di un reddito, dovendo sempre e comunque indagare se la stessa operazione è realmente accaduta e, in caso positivo, quali siano le ricorse economiche utilizzate.

Nel tempo la giurisprudenza della Cassazione ha ripetutamente rimarcato tali assunti, affermando che:

  • l’eventuale acquisto di un bene con risorse di terzi soggetti (solitamente genitori), impedisce l’accertamento redditometrico;
  • allo stesso tempo, se un acquisto non è mai avvenuto in quanto simulato, è evidente che non sussiste nemmeno la sottostante manifestazione di ricchezza, non potendosi ipotizzare un accertamento basato sul redditometro.

A ribadire tali conclusioni provvedono alcune recenti sentenze della Suprema Corte. In primo luogo la sentenza n. 4793 depositata il 24 febbraio 2017, che sottolinea come gli atti simulati non sono mai fonte di accertamento reddituale. Nel caso specifico trattasi di falso acquisto di falsi titoli, mai emessi, così come il successivo conferimento di capitale sociale, proprio ancorato a tali falsi titoli, è del tutto inconsistente. Peraltro tutte queste circostanze erano state confermate anche in sede penale, con dunque inequivocabile certezza che trattasi di atti simulati. La simulazione degli atti se può essere oggetto di eventuali giudizi nelle sedi competenti, ai fini fiscali conduce ad un’unica certezza: l’atto è finto e anche la movimentazione di denaro sottostante non è mai avvenuta. Ma proprio l’assenza di qualsiasi esborso impedisce un accertamento redditometrico, mancando il presupposto fondamentale della reale spesa sostenuta.

Le sentenze n. 5167, depositata il 28 febbraio 2017, e n. 5419, depositata il successivo 3 marzo 2017, affrontano invece il diffusissimo caso dell’intervento di terzi soggetti nel sostenimento della spesa del contribuente. Spesso sono i genitori ad intervenire in tale direzione, o acquistando direttamente il bene ovvero provvedendo ai relativi pagamenti rateali (si pensi ai mutui, piuttosto che agli acquisti mediante leasing). Ebbene anche in queste vicende è abbastanza pacifico che il soggetto intestatario dei beni o che formalmente risulta “pagatore” in realtà non possiede le risorse finanziarie che l’accertamento redditometrico permette di ricostruire. Ciò implica che lo stesso accertamento deve essere ridimensionato, deve prendersi in considerazione quanto asserito in linea difensiva dal contribuente ed eventualmente indagare solo in ordine alla verifica che coloro che sono intervenuti realmente erano in grado, economicamente, di sostenere l’intervento. In altre parole, quando si invoca l’intervento di soggetti terzi, al Fisco resta solo da verificare che realmente il soggetto terzo sia “affidabile”, ossia sia in grado di sostenere l’esborso finanziario e allo stesso tempo abbia risorse legittime e frutto di redditi tassati o di risparmi legittimamente accumulati nel tempo.

A conclusioni analoghe, infine, giunge la sentenza n. 5419 del 2017, che appunto richiama l’attenzione sulla necessità di verificare che i presunti interventi riconducibili ai genitori siano compatibili con i redditi nella disponibilità degli stessi.

Il quadro emergente è sufficientemente chiaro: nulla vieta che i genitori o soggetti terzi intervengano nell’acquisto di beni di un loro familiare. Il trend della Cassazione ormai è consolidato e ripetuto nel tempo, essendo impedito un accertamento nei confronti del soggetto che si ritrova formalmente intestatario del bene. Ovvio che è sempre conveniente avere la massima tracciabilità di simili interventi, ma una volta soddisfatto tale onere probatorio e dimostrato che le risorse impiegate sono anche ragionevolmente desumibili dai redditi percepiti dai soggetti stessi, le problematiche reddituali non potranno che azzerarsi, proprio in quanto in capo al soggetto “formalmente” intestatario del bene acquisito non si è manifestata nessuna maggiore capacità di reddito.

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