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DISMISSIONE DEI BENI AZIENDALI

Dismissione dei beni aziendali

La dismissione di beni di valore inferiore ad € 10.000 da parte di imprese e professionisti, deve seguire un attento percorso per evitare la presunzione fiscale di cessione (articolo 1 del Dpr n. 441/97).  Vediamo tutte le informazioni utili da sapere.

Ogni impresa sul mercato, nell’esercizio delle proprie attività, dispone di alcuni beni destinati a produrre un’utilità per più di un esercizio (seguendo un piano di ammortamento ben definito si dalla normativa civilistica che fiscale). Oltre a questi beni, le imprese possono avere anche i cosiddetti beni “merce”, ovvero quelli destinati alla rivendita.

Anche questi beni, da un punto di vista prettamente economico, possono essere oggetto di dismissionie (si pensi, ad esempio, a beni obsoleti). Per la dismissione di tali beni (cespiti e merci), l’Amministrazione Finanziaria pone particolari attenzioni; per questo motivo, le valutazioni e le procedure da seguire per la loro fuoriuscita devono essere gestite in maniera puntuale e attenta.   

Ma cosa è la presunzione di cessione ?

Secondo l’Amministrazione Finanziaria, “…si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti dall’impresa stessache non si trovano più nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni”. Il luogo, sempre secondo l’art. 1 comma 3, indica espressamente le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi, depositi mezzi di trasporto nella disponibilità dell’impresa”.

Lo stesso articolo afferma, pero’, che: la presunzione di cui al comma 1 non opera se è dimostrato che i beni stessi: sono stati impiegati per la produzione, distrutti o perduti“.

A questo punto possiamo dire che il punto nodale è quello di superare il concetto di presunzione fiscale di cessione contenuto nel Dpr n.441/97, riuscendo correttamente a provare che i beni sono stati DISMESSI e non venduti; questo consentirà di evitare l’applicazione di sanzioni per evasione di IVA e imposte sui redditi.

Vediamo allora questa procedura.  

Analizziamo i seguenti casi:

  • Il bene non non conserva più un utilità per la stessa, oppure è tecnologicamente superato; in questo caso il bene deve essere DISTRUTTO, ELIMINATO;
  • Il bene ha esaurito la sua utilità per cause non dipendenti da scelte aziendali (ad esempio un incendio rende inutilizzabile un macchinario); il bene, anche in questo caso, va ELIMINATO.

La normativa contenuta nel DPR n.441/97, insieme ad altre semplificazioni utili ai contribuenti a effettuare la distruzione dei beni non più utilizzabili, consente le seguenti casistiche:

  • Autoconsumo o cessione ai soci (dismissione da parte di società);
  • Dismissione tramite operatori specializzati;
  • Dismissione autonoma di beni di valore oltre i €. 10.000;
  • Dismissione autonoma di beni di valore inferiore a €. 10.000.

Autoconsumo o cessione ai soci

Può accadere che i soci si offrano di prendersi carico degli stessi beni non più in uso. La società potrà dismettere i beni attraverso un “assegnazione ai soci”. L’aspetto centrale di questa possibilità è il fatto che la società dovrà fatturare il bene al socio e, nel caso in cui lo stesso bene sia stato acquistato portando in detrazione iva, la fattura va assoggettata, allo stesso modo, ad iva. Ovviamente andranno seguite regole ben precise dettate dal DPR n.633/72 (Decreto Iva) in caso di autoconsumo o cessione a titolo gratuito (nel quale si fa riferimento al “costo di acquisto o, in mancanza, al prezzo di acquisto dei beni”).

Dismissione tramite operatori specializzati

Gli operatori specializzati entrano in gioco per tutto il discorso relativo allo smaltimento dei rifiuti, allo scopo di produrre documentazione atta a superare il concetto di presunzione di cessione. I documenti prodotti sono i DDT (Documento di Trasporto) e il Formulario di identificazione (che per legge va vidimato da Agenzia delle Entrate e Camera di Commercio e deve riportare le caratteristiche del bene dismesso).

Dismissione autonoma di beni oltre i €. 10.000

Quando il valore dei beni non supera € 10.000 il contribuente può anche decidere di dismetterlo autonomamente. In questo caso i passaggi da seguire si compongono di più fasi:

  • Comunicarlo all’Agenzia delle Entrate, attraverso PEC, almeno 5 giorni prima dell’inizio della dismissione, per consentire ai funzionari di presenziare l’evento. La comunicazione deve contenere il luogo la data e l’ora delle operazioni di dismissione; le modalità di distruzione; la natura dei beni; l’ammontare complessivo dei beni; il valore eventualmente ottenibile della distruzione.
  • Farsi rilasciare un Verbale dai pubblici ufficiali, i quali sono tenuti a redigerlo sul posto. E’ importante che dal verbale risultino la data, ora e luogo in cui avvengono le operazioni, la natura, qualità, quantità ed ammontare del costo dei beni distrutti o eventualmente trasformati;
  • Compilare un Documento di trasportoche è obbligatorio da parte del contribuente per documentare la movimentazione dei beni eventualmente ottenuti dalla distruzione.

Dismissione autonoma di beni entro i €. 10.000

Per i beni, il cui valore sia inferiore ad € 10.000, Il DLG n. 70/2011 ha introdotto una particolare semplificazione che consente, attraverso una Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Nella dichiarazione devono risultare necessariamente le seguenti informazioni: data, ora e luogo in cui avvengono le operazioni, nonché natura, qualità, quantità e ammontare del costo dei beni distrutti e/o trasformati.

Riflessi contabili e fiscali

L’eliminazione di un bene da luogo a due aspetti differenti con risvolti sia contabili che fiscali.

Se il bene risulta interamente ammortizzato, viene eliminato dalla contabilità il conto ad esso intestato, stornando il relativo fondo di ammortamento.

Nel caso in cui, invece, il bene non sia ancora interamente ammortizzato, viene stornato il fondo di ammortamento (che è pari alla somma delle quote di ammortamento negli anni) rilevando una insussistenza passiva per la parte non ancora ammortizzata.

Da un punto di vista fiscale, nel caso in cui il bene sia stato già interamente ammortizzato, l’operazione sarà fiscalmente irrilevante, dal momento che lo storno del fondo consentirà solo l’eliminazione del bene dallo Stato Patrimoniale, senza altre conseguenze. Al contrario, nel caso di un insussistenza passiva, la stessa sarà deducibile sia ai fini IRES (art. 102, comma 4 del Tuir) che ai fini IRAP.

Un ultimo aspetto da vedere riguarda il registro dei beni ammortizzabili. L’articolo 16 del DPR n. 600/73 dispone che i beni mobili (ed immobili) devono essere obbligatoriamente indicati nel registro dei beni ammortizzabili, indicando, l’anno di acquisizione, il costo originario, le rivalutazioni, le svalutazioni, il fondo di ammortamento nella misura raggiunta al termine del periodo di imposta precedente, il coefficiente di ammortamento effettivamente praticato nel periodo di imposta, la quota annuale di ammortamento e le eliminazioni dal processo produttivo. Nello stesso registro, quindi, dovrà essere annotata la cessione gratuita, l’assegnazione al socio o la dismissione degli stessi beni

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